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05 aprile 2006

Moneta ed energia i motori della guerra


In questo periodo di grave crisi internazionale è il mercato dell’energia a fare da regista e da motore delle grandi alleanze politico-militare. Il procacciamento di risorse sta diventando isterico e frenetico, la corsa per accaparrarsi le energie scarse è cominciata, con una guerra silenziosa e invisibile che non ha ancora mietuto vittime ma già fa sentire le dure conseguenze.
La Cina darà il suo consenso all’attacco in Iran allo scadere dell’ultimatum nel prossimo mese, perché la comunità internazionale ha acconsentito all’acquisto di uranio arricchito dall’Australia, e questo Teheran lo sa benissimo, tant’è che mostra al mondo le sue esercitazioni missilistiche.
La Russia dal suo canto metterà le mani sul gasdotto in Albania per entrare da monopolista nel Mediterraneo, e con la sua Gazprom sta per istituire una sorta di cartello-ombra, di “Opec blu” che prima o poi sarebbe in grado di determinare i prezzi di mercato.
Le sue mire sono molto ambiziose, estendendosi sino in Cina, nel Sichuan dove è stato scoperto un enorme giacimento di gas naturale, e tra non molto darà il via al trivellamento del deposito oceanico di Shtokman, nel mare di Barents, di ben 3200 miliardi di metri cubi di gas., di cui 30 miliardi diretti al mercato statunitense. In questi giorni individuerà le sue partner, probabilmente le norvegesi Norsk Hydro e Statoil, le statunitensi ChevronTexaco e ConocoPhillips, e la Total, lasciando fuori Exxon e Shell. Così a fronte di una domanda americana di 635 miliardi di m3 e a importazioni per 125 miliardi, la Russia offrirà 47.500 miliardi di m3 di riserve di gas, il 28% del totale mondiale. Un enorme business a cui non si sottrae la Cina, che sfodererà per l’occasione una flotta di 20 metaniere cisterne per il trasporto in ogni parte del mondo del GNL, del gas liquefatto.
In Europa occidentale il più grosso progetto Gazprom resta il grande gasdotto del mar Baltico, che sarà costruito dal consorzio North European Gaz Pipeline Company, finanziato dalla cancelleria tedesca poco prima delle elezioni e gestito ora da Schroeder in persona.
Ma ormai nessuno può fermarla più: può decidere quando e chiudere i rubinetti, a che costo riaprirli e con quale frequenza pretendere gli approviggionamenti.

E mentre i giganti petroliferi si muovono e stipulano accordi strategici, la Commissione Europea commina a destra e manca multe e sanzioni per il mancato rispetto delle norme di integrazione e di liberalizzazione del mercato dell’energia, e per la violazione del principio della libera circolazione dei capitali. Ventotto lettere contro 17 Paesi, prendendo di mira la legge francese contro le Opa straniere a imprese appartenenti a settori strategici, tra cui difesa, energia e alimentare. Sotto tiro anche la legge anti-Edf italiana, contestando la norma che limita al 2% il congelamento dei diritti di voto di una società straniera, se questa non ha avviato una procedura di privatizzazione o se vi sono condizioni di reciprocità con l’altro Stato. Così la Commissione e i comitati di esperti europei hanno giustamente deciso di sfondare le resistenze “protezionistiche” degli Stati dell’Unione per via legale, al fine di spegnere ogni tentativo di difendere le ultime risorse nazionalizzate. Poi per distrarre eventuali sospetti, la Commissione ricorda il mancato recepimento delle istruzioni sulla promozione e lo sviluppo delle energie alternative: i poteri sono subdoli e lavorano per la liberalizzazione dell’energia, rectius privatizzazione e vendita al pesce grosso.
Vittima di tale giro di vite, sarà sicuramente l’Eni, che dopo aver perso la possibilità di scalare Suez, ora ne potrebbe subire la ritorsione senza possibilità di ricorrere alla reciprocità delle possibilità di scalata nello Stato della controparte, oltre all’insinuazione della Gazprom.

Intanto il prezzo del petrolio schizza sempre più, il Brent sfiora i 68$ e si assesta sui 66,74 . I venti di guerra sussurrano che è giunto il momento il correre alle scorte. L’unico che resiste al grande assalto è Chavez, che ha annunciato la volontà di ricondurre sotto il controllo dello Stato le ingenti risorse petrolifere del Paese, 77,2 milioni di barili di riserve. La legge impone di trasferire a società controllate almeno del 60% dalla compagnia nazionale Pdvsa, e le joints venture con i capitali stranieri dovranno sborsare tasse con aliquote al 50% e versare royalties del 33,3% dell’estrazione. Tutte le compagnie capitolano, tranne ExxonMobil ed Eni, che ancora resistono.

Siamo già in guerra, è bene saperlo. Tra moneta ed energia i poteri forti stanno lottando, stringendo alleanze strategiche, trovando accordi non destabilizzanti e riversando il caos e la distruzione nel mondo, per mantenere il giusto equilibrio demografico. Siamo già in guerra e i Banchieri hanno già studiato dinamica, evoluzione e epilogo dell’intera vicenda, già sanno come rifondare l’economia e l’equilibrio mondiale. Non bisogna mai distogliere l’attenzione dall’oro, bisogna cercare l’oro e monitorarlo: 585,3$, ma sfiorando durante la giornata i 600$. Sembra davvero strano che la stampa non sia alcuna importanza a questi dati, giunti ai massimi da 25 anni, considerandoli del tutto normali, come normale è stato il comunicato della BCE della settimana scorsa che annunciava di aver venduto 57 tonnellate delle proprie riserve.


I titoli azionari traballano, le borse chiudono in passivo, e quella a subire di più il colpo è Tokyo, che nonostante il buon risultato dell’indice Tankan, indice che misura la fiducia nelle imprese, chiude per l’ennesima volta in ribasso, dopo i primi sprazzi di ottimismo, e l’annuncio di un prossimo rialzo dei tassi. La stessa BCE, giovedì alla riunione dei grandi Banchieri europei, dichiarerà se i tassi continueranno ad alzarsi nel prossimo maggio: pare che la crescita dell’inflazione preoccupi le autorità monetarie. Ovviamente in tale decisione non ha giocato alcun ruolo la politica della FED e le prossime prospettive di svalutazione del dollaro.

Siamo già in guerra e i poteri oscuri sono da tempo al lavoro.