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20 luglio 2006

Alitalia: liberalizzazione o concentrazione?


In occasione del salone internazionale di Farnborough, che ha riunito i vertici delle più grandi società operanti nel settore aeronautico e aerospaziale, viene rimesso in discussione il ruolo dei gruppi italiani nel grande risiko della spartizione del mercato. Torna a far parlare di sé l'Alitalia che, dopo le varie ipotesi che si sono alternate in questi giorni in Parlamento, è stata definitivamente consegnata alle strategie di privatizzazione. Il ministro dei Trasporti ha reso ormai ufficiale l'intenzione di dismettere la partecipazione di maggioranza del 49,9% appartenente al Tesoro dello Stato, in blocco ad un unico grande operatore. Air France-Klm è sicuramente una delle più importanti controparti in lizza, dato che Alitalia già far parte dell'Alliace Sky-Team, assieme a Delta Air Lines, Aeroméxico, Korean Air, Czech Airlines,Northwest Airlines, Aeroflot, and Continental Airlines.

Sebbene l'accorpamento necessiti ancora degli idonei tempi burocratici e che non sia stato ancora stabilito chi comprerà Alitalia, la decisione di privatizzare sembra ormai matura e inamovibile. Il dissesto economico è stato una conseguenza di una serie di elementi che non sono certo da imputare all'11 settembre, ma alla malagestione, all'indifferenza verso gli investimenti e l'ammodernamento della flotta, e poi anche all'opera dei sindacati che hanno creato una profonda spaccatura tra i dipendenti e la dirigenza. Per ridurre le perdite la dirigenza ha deciso di cominciare a sfoltire il patrimonio in cerca di plusvalenze, cominciando prima di ogni cosa dai terreni aeroportuali, in particolari quelli adiacenti di Roma-fiumicino alla società Aeroporti di Roma. A questo va aggiunto anche l'opera di boicotaggio nei confronti della compagnia italiana, che vedendosi negare in un primo momento le tratte aeree per la Sardegna, è dovuta scendere a patti con Meridiana per non perdere del tutto la sua presenza in una regione italiana.
L'andamento positivo degli incassi dei voli per passeggeri e delle attività dei cargo, cresciute rispettivamente del 2,9% e del 6%, non fa tuttavia recuperare molto in borsa, né sembra risentire della ricapitalizzazione di 1,8 miliardi di euro: Alitalia continua ad essere l'unica compagnia aerea europea a subire tale grave dissesto senza che sia stato trovato una plausibile causa oltre alla gestione della compagnia da parte dello Stato.

Quotazione Alitalia dal luglio 2001 a luglio 2006


La crisi finanziaria è stata così promossa a pretesto per cessione della partecipazione, resa ormai obbligatoria dalle molteplici pressioni provenienti dalla comunità europea che sta spingendo per la totale liberalizzazione dei mercati, senza alcun condizionamento da parte dello Stato. Sulla base di tale motivazione il Commissario Europeo per la concorrenza ha deciso di Commissionare l'Italia presso la Corte di Giustizia per via della legge della Golden Share, che attribuisce un diritto di gradimento, ossia un potere di veto, nelle decisioni di trasferimento delle azioni di un'impresa partecipata dal Tesoro ad un privato estero. La Corte di Giustizia preme dunque per l'eliminazione di tale clausola di riserva, utilizzata dallo Stato per mantenere comunque un controllo sull'italianità della società "statale", che è ritenuta lesiva della libertà di stabilimento all'interno del mercato comune europeo. Questa presa di posizione della Comunità Europea, va considerata come un evento storico che segna l'inizio delle politiche di liberalizzazione per promuovere la libera concorrenza in un libero mercato, e delle decisioni di smembramento del patrimonio statale considerato ormai un "peso" che può portare un utile solo con la sua cessione, appunto per abbattere il debito pubblico. Tale monito ha solo portato alla svendita delle risorse nazionali, senza garantire un effettivo beneficio in quanto "patologicamente" il debito pubblico di rigenera ogni 5 anni, a causa della ricapitalizzazione degli interessi sui prestiti con ammortamento accelerato.

Struttura di una multinazionale

La decisione della dismissione di Alitalia giunge in occasione della tornata di privatizzazioni ora in atto, accanto alla vendita di Autostrade, alla joint-venture Eni-Gazprom che necessita della cessione di Snam e Finam, alla proposta di spaccatura di Trenitalia e Rete ferroviaria europea.Sulla linea di pensiero del Decreto Bersani dell'Energia, l'obiettivo è quello di smantellare la struttura della corporate governance delle ferrovie con una netta separazione tra infrastrutture e mezzi, per dare "flessibilità" al mercato, e per consentire, ovviamente, l'ingresso di nuove controparti che possono maggiormente competere su un mercato liberato dal monopolio di un unico gestore, tra l'altro statale. La situazione finanziaria di Trenitalia va monitorata perché probabilmente sarà il prossimo obiettivo dato che si presentano già tutti i sintomi: dissesto economico, causato in parte dall'interruzione dei trasferimenti da parte del Tesoro, riduzione degli investimenti, che privilegiano il brand Eurostar e la linea dell'alta velocità e non la flotta dei treni locali, e infine, spinta liberista, la più pericolosa. Inoltre, ciò che è accaduto per Autostrade Spa, si profila anche nella prospettiva di lungo termine dell'Enel, forse proprio grazie al lancio di una OPA da parte del Governo che a quel punto potrebbe essere sicuramente colta da investitori esteri. La delocalizzazione di per sé viene valutata con grande ottimismo perché, secondo i nostri analisti ed esperti dei comitati per la redazione delle leggi, rende le imprese efficienti. Con un'ottica diversa diremmo che le rende meno controllabili, smaterializzate in un continuo susseguirsi di scatole cinesi: è possibile controllare ad esempio le società quotate, ma è più difficile farlo per le capogruppo che sono s.r.l. o holding residenti all'estero, i cui azionisti spesso non sono i veri proprietari che, per in qualità di interposta persona, gestiscono e coprono i movimenti azionari. Quanto più si delocalizza in vari Stati, tanto più le tracce si smarriscono, ben sapendo che non esistono convenzioni internazionali che possano consentire allo Stato di chiedere rogatorie triangolari o incrociate su molti paesi. Il governo perde poi il controllo sulle politiche di marketing e di produzione, e se prima poteva correggere delle distorsioni, ora le anomalie neanche sono più notate.

In nome del liberismo si spinge oggi verso il frazionamento delle grandi società in tanti rami d'aziende per consentire l'ingresso dei concorrenti, e allo stesso tempo si decide per le fusioni e i grandi accorpamenti che rendono le imprese grandi, forti e competitive. In questo caso non sono definite monopoliste dall'Autority, perché è essa stessa ad autorizzare la fusione e le joint-venture che nascondono le acquisizioni.
Il settore delle infrastrutture sta vivendo ora questa forte contraddizione nei termini, e sembra quasi che siano decisioni che seguano il buono e il cattivo tempo, lasciando credere che sia l'"interesse nazionale" o "del consumatore" a dettarne l'esigenza. In realtà tutto segue un filo conduttore, che porta al controllo, in un modo o nell'altro, con concentrazioni o liberalizzazioni, delle società operanti nel settore dei trasporti, dell'energia o della telecomunicazioni. Questi sono i vettori strategici per la distribuzione delle risorse e della ricchezza tra gli Stati.