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08 dicembre 2006

La Cina nei porti italiani: una colonializzazione intelligente

La Cina sbarca nei porti Europei, seguendo l'antica rotta delle Compagnie delle Indie Orientali per dar di nuovo vita a quello che è stato il motore della prima rivoluzione industriale europea.
Una delegazione di cinquecento rappresentanti di circa 300 imprese cinesi ed europee è stata accolta nel porto de Le Havre, per la prima grande convention di affari asiatici. Come nel XVII secolo, le navi francesi facevano rotta verso i mercati asiatici per importare tè, porcellana e seta, così oggi due navi al giorno partono o arrivano dalla Cina, movimentando 310 000 container in anno, circa il 17% del traffico totale di container. L'obiettivo del meeting è stato infatti quello di favorire gli scambi e sviluppare delle cooperazioni tali da permettere di raggiungere un traffico di 4 o 6 milioni di container sino al 2010, garantendo sia una moltiplicazione delle rotte che quantitativo importato.

Tuttavia, la conquista de Le Havre non è né la prima, né la più importante tra quelle raggiunte dalle imprese cinesi, considerando che la meta più gettonata delle merci del mercato orientale è proprio l'Italia con i suoi porti del Mediterraneo. Il vero contatto tra questi due emisferi sono proprio i porti, da lì che hanno inizio delle relazioni commerciali e diplomatiche tra Occidente ed Oriente, tale che la conquista del mercato europeo passa proprio attraverso i moli di Gioia Tauro, di Palermo e infine di Napoli. Oggi Napoli rappresenta il vero crocevia europeo delle merci cinesi, con il suo 20% di movimentazione dell'importazioni nazionali e il suo 70% a livello europeo, prima di subire il trasbordo verso i mercati nord-europei. All'interno della sua struttura il più grande armatore statale cinese, la Cosco, ha in gestione il più grande terminal per container, assieme alla svizzera Msc, assorbendo quasi tutto il traffico in transito nel centro campano. Allo stesso modo, La Conateco, società partecipata al 50 per cento da Cosco e Msc, ha ottenuto la concessione per 50 anni del Terminal Levante, per continuare così ad investire nel porto campano che, connettendosi agli interporti circostanti, diventerà un colosso infrastrutturale nel sistema logistico del Mediterraneo. Accanto a questa presa di potere logistico all'interno del Porto di Napoli, si stanno attivando delle relazioni istituzionali tra la Regione Campania e alcune regioni cinesi, che si tradurranno in commesse per le imprese italiane per vari progetti volti al recupero urbanistico, al consolidamento di distretti industriali internazionalizzati, al settore logistico e dei trasporti con commesse per gli armatori. Il tessuto produttivo campano, costituito da una miriade di piccole e medie imprese, con i suoi distretti industriali e i suoi consorzi, cerca in questo ponte con la Cina non solo un mercato di importazione per le materie prime, ma anche uno sbocco per i semilavorati o i manufatti. Un' iniziativa questa portata avanti proprio da una rappresentanza integrata ed orizzontale delle imprese che lavorano nei distretti, che si sono affacciati al nuovo mercato né come meri acquirenti, né come produttori che colonializzano. L'internazionalizzazione delle piccole imprese regolata e votata all'arricchimento reciproco, rappresenta un'importante componente di sostegno all'economia fatta di piccole imprese e di lotta al dumping e alla concorrenza sleale.

L'interesse della Cina per i porti europei viene coltivato da molti anni, e le relazioni alla base delle cooperazioni sono complesse e integrate con altri settori economici, e non confinate nel semplice scambio di merce. Le imprese cinesi tendono a vendere i propri manufatti ai mercati che hanno deficit di produzione, ma allo stesso tempo si impegnano a costruire delle cooperazioni per la ricerca o lo sviluppo, per le università in modo da tale da importare saperi, intelligenze e professioni. Vengono costituite corpose delegazioni che seguono il mercato europeo non come una colonia, come spesso viene detto usando impropriamente tale parola, ma come partner di un reciproco scambio di beni e servizi. Di fatti, le manovre speculative delle multinazionali che hanno tentato di penetrare e poi invadere il mercato cinese hanno avuto la dura dimostrazione che il furto dei saperi è molto più strategico dello sfruttamento della manodopera.

Il surplus delle risorse cinesi è ovviamente la discriminante di tale rapporto di merci a fronte di saperi, mentre la deregolamentazione del commercio e dei mercati rappresenta una variabile che provoca distorsioni e danneggia l'economia del paese acquirente o venditore. Questa è responsabilità delle autorità portuali, delle Agenzie delle Dogane e dello stesso Governo che deve regolamentare gli scambi, senza cadere nel protezionismo o nel liberalismo, entrambi patologie del sistema economico.
Oggi la Cina è divenuta una potenza mondiale, facendo del suo surplus della bilancia commerciale e dunque della sua ampia scorta di valuta, un'arma con cui presentarsi alla corte del Wto, dell'Onu e dell'America, ma questo perché sono state le multinazionali che hanno abusato di un'economia per trarne vantaggio. Compromettendo quell'equilibrio hanno in certo senso decretato anche il crollo di un sistema, come quello capitalistico, votato alla speculazione e non alla coltivazione delle cooperazioni.