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07 gennaio 2009

Il gelo di Gazprom


La controversia tra Russia e Ucraina sarà senz'altro il primo vero collaudo delle strategie energetiche di differenziazione dell’Europa e del cartello del gas da poco creato. Il taglio delle forniture di gas non è solo una leva politica nei confronti dell'Ucraina, ma anche dell’Unione Europea che cerca invano di ottenere una diversificazione delle fonti di energia. Inoltre la Russia cerca di indurre un rialzo dei prezzi del gas, dopo la crisi che ha colpito il settore.

La crisi energetica scatenatasi tra Russia e Ucraina non sta assumendo solo delle sfumature politiche e commerciali. Se da una parte il braccio di ferro tra Kiev e Mosca ha portato ad una drastica riduzione delle forniture di gas per Ucraina e Paesi limitrofi, dall’altra ha azionato il primo vero collaudo delle strategie energetiche di differenziazione dell’Europa e dello stesso cartello del gas da poco creato. L’Unione Europea cerca da tempo un equilibrio tra indipendenza energetica e diversificazione delle fonti di energia, raggiungendo in questi anni scarsi risultati, se non alcuni progetti di fattibilità e memorandum di intesa che non si sono ancora concretizzati. Per quanto riguarda il bilancio energetico interno ad ogni singolo Stato europeo, le strategie di diversificazione non sono maggiormente efficaci. Mentre la Francia può contare sulla sua produzione interna di elettricità grazie al nucleare, la Germania fa leva sulle proprie riserve di carbon coke e sull’ottimo 14% di energia rinnovabile, al contrario dell’Italia, che fa fronte alla crisi ricorrendo alle fonti di approvvigionamento da Algeria (dal gasdotto TRANSMED) e Libia (gasdotto GREENSTREAM), e dal gas del Nord (Olanda e Norvegia). Tranne alcuni sporadici casi di eccellenza, gran parte dell’Europa centro-occidentale e orientale dipende in gran parte dal gas russo, e per oltre il 20% da quello che attraversa l’Ucraina, oltre alla Bielorussia e alla Turchia.

La precedente crisi del 2006 aveva portato alla progettazione del gasdotto Nabucco che, attraversando il Caucaso meridionale, dovrebbe essere una valida alternativa alla rete energetica russa, per collegare i giacimenti dell'Azerbaigian all'Europa occidentale, senza passare attraverso la Russia o l'Ucraina. Vi è ancora assoluta incertezza circa gli Stati fornitori, tra cui potrebbero profilarsi anche Iraq, Turkmenistan e Iran, mentre non si esclude che lo stesso gas russo contribuisca infine al gasdotto europeo. Infatti l’Europa deve comunque sottostare alle condizione russe, dopo che Gazprom ha ottenuto importanti concessioni per i giacimenti dell'Azerbaigian, che difficilmente sostituirà il partenariato della Russia con quello europeo. Anche i negoziati per il transito della conduttura sulla Turchia sono sul filo del rasoio, nel tentativo di ottenere maggiori rendimenti sulle tasse di transito e sulle concessione per i depositi di stoccaggio di gas. Senza considerare il percorso delle trattative diplomatiche tra gli Stati e focalizzando l’attenzione sui soli costi e tempi tecnici, si intuisce che la sicurezza energetica europea è molto precaria: il primo tratto Austria-Turchia sarà realizzato entro il 2013, mentre la conduttura non sarà in funzionamento a pieno regime fino al 2020, e comunque sarà in grado di far fronte solo al 10% delle richieste del mercato gassifero europeo. D’altro canto, il diretto concorrente del South Stream potrebbe essere in funzione già nei primi mesi del 2013, semprechè la Russia riuscirà a scongiurare il ritardo dei lavori sulla regione balcanica. Ad ogni modo la Russia può contare su una vera e propria ragnatela che si estende su tutto il territorio europeo e centro asiatico (vedi Le pipeline dell'ex Unione Sovietica (pdf) ) nonché sul gasdotto in corso di realizzazione del Nord Stream del mar Baltico, e dell’esistente Blue Stream che attraverso il Mar Nero.

A confermare l’assoluta impotenza dell’Unione Europea in situazioni del genere, è anche la tiepida reazione di Bruxelles che vuole rimanere "parte terza" rispetto alla controversia nonostante sia direttamente coinvolta. Anche se Gazprom ha assicurato che le forniture verso l’Europa sarebbero state garantite dalle condutture che attraversano la Bielorussia e la Turchia, ogni Stato Europeo ha avvertito un sensibile calo dei rifornimenti. Le consegne di gas russo verso Bulgaria, Turchia, Grecia e Macedonia sono sospese, come riferito dall’Agenzia France Presse citando il comunicato ufficiale del Ministero dell'Economia e dell'Energia bulgaro. "Le forniture di gas naturale della Bulgargaz, destinate al mercato di transito bulgaro per la Grecia, Turchia e Macedonia, sono stati interrotti alle ore 3.30", riporta il comunicato, sebbene Ankara avesse assicurato che la Russia aveva precedentemente aumentato le sue forniture attraverso il gasdotto Blue Stream, che passa sotto il Mar Nero. L' Austria, da parte sua, ha detto che non riceve il 10% dei quantitativi necessari, mentre il restante 90% della domanda interna viene coperta da riserve accumulate in depositi sotterranei sul suo territorio. Anche le forniture di gas russo in Croazia sono state sospese, come annunciato dalla compagnia nazionale Plinacro, registrando un ammanco del 18% delle forniture pattuite, pari a 25.000 m3, mentre l’Agenzia Ina ha comunicato che la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente. La Serbia addirittura segnala che l'approvvigionamento di gas dalla Russia è stato dimezzato e ha ordinato ai grossisti il ricorso ad altri combustibili. Secondo le fonti Gazprom, a seguito del prelievo illegale di gas da parte dell'Ucraina, i consumatori europei non hanno ricevuto 65,3 milioni di metri cubi di combustibile dall'1 al 4 gennaio, a cui dovrebbe far fronte la stessa Ucraina con le proprie di riserve.

Visto il forte impatto dell’interruzione delle forniture di gas all’Ucraina, è difficile credere che i dirigenti Gazprom e del Cremlino non avrebbero previsto gli effetti che si sarebbero scatenati in tutta la regione europea. La decisione di tagliare i trasferimenti a fronte del mancato accordo sul prezzo del gas, sottintende il chiaro tentativo della Russia di sostenere il mercato gassifero e di rialzare il livello dei prezzi, che hanno subito un drastico calo insieme al crollo del petrolio. D’altronde, Putin aveva avvertito che "l'era del basso costo del gas volgeva alla fine", e la Russia ha dispiegato tutte le armi in suo possesso per concretizzare gli investimenti effettuati in questi anni e sfruttare anche la maggiore dipendenza raggiunta dagli altri Stati. Allo stesso tempo porta avanti il progetto del cartello del gas, nel quale ribadisce la propria leadership, cercando di dare un’impostazione di fondo per sostenere i prezzi del mercato del gas, che non ha una regolamentazione internazionale come quella del petrolio. Infatti lo statuto del Forum dei Paesi Esportatori di Gas (FPEG) non ha fornito al cartello nessun meccanismo per regolare i prezzi del gas come l'OPEC, in quanto non impone ai membri del Forum di fissare la quota di estrazione. Inoltre, gli esportatori di gas non vogliono essere vincolati da regole formali e dalle limitazioni del forum, in quanto la maggior parte di essi sono impegnati da contratti di cooperazione energetica bilaterali. La stessa disposizione delle pipelines per il trasporto del gas e la rete infrastrutturale, come gli stessi rigassificatori, sono stati creati con accordi di volta in volta presi con gli Stati consumatori, i quali sono diventati spesso anche co-investitori, come Germania, Italia, Serbia e Turchia ( da notare che l’Ucraina, essendo un ex membro dell’Unione Sovietica ha semplicemente "ereditato" le pipeline che si trovavano sul suo territorio, e il cui sfruttamento è stato regolamentato da successivi accordi di transito).

È difficile, dunque, imporre un prezzo di mercato in assenza di una strategia di produzione coordinata, di un’unica moneta di contrattazione e di un mercato di regolamentazione globale, ossia tutto ciò che ha invece il petrolio. Inoltre, molti Stati - come nel caso in specie della Russia - non potrebbe ro neanche fermare l’estrazione di petrolio e gas nelle zone particolarmente fredde, in cui le basse temperature gelano il petrolio e bloccano le strutture di estrazione. Probabilmente gli esportatori di gas, essendo tra di loro molto divisi ed eterogenei, non si sarebbero mai accordati su un’unica strategia di estrazione e vendita del gas se non vi fosse stata questa situazione di crisi. Il Ministro dell'Energia russo Sergei Chmatko, in occasione della ratifica dello statuto, ha precisato che non vi sarebbero state delle quote di estrazione, ma solo accordi di cooperazione con i consumatori di gas, un'organizzazione comune del settore del gas naturale liquefatto e lo scambio di informazioni sull'attuazione dei programmi. Se l'Iran insiste sul fatto che il cartello del gas operi come l'OPEC, cioè con quote fisse di gas, la Russia preferisce vedere il cartello del gas come una struttura in cui gli Stati sono coinvolti in progetti comuni, creando reti di trasporto del gas.

Il mercato del gas è sicuramente un settore molto giovane, che sta prendendo una sua configurazione proprio in questi ultimi anni e in maniera contemporanea all’avvicendarsi del declino di quello del petrolio. Tali eventi, come il taglio delle forniture, sono rischi previsti sia dai Paesi produttori che da quelli consumatori, che stanno cooperando alla costruzione del mercato stesso. Ovviamente, come ogni altra fonte di energia centralizzata nelle mani di pochi, si presta ad essere strumentalizzata politicamente e commercialmente, punendo i "cattivi consumatori" e premiando gli ottimi clienti. Resta pur sempre una certa amarezza nel constatare come le "minacce" per il mancato pagamento delle bollette, si traducano in azioni dinanzi alle quali si può fare ben poco.