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21 gennaio 2009

La crisi della KAP di Podgorica nelle mani dei russi


Il Governo di Podgorica ha annunciato che sarebbe disposto a lasciare la gestione della fabbrica di alluminio nelle mani dei russi, pena il fallimento della Kombinat aluminijuma di Podgorica (KAP). Si apre un spiraglio per l'approvazione del piano di aiuti di Stato nei confronti dell'industria di alluminio controllata all'oligarca russo Oleg Deripaska (nella foto). Ci si chiede, però, se queste misure potranno colmare la crisi strutturale della fabbrica, che non è stata mai affrontata dalla dirigenza russa.

Ancora nessuna buona notizia per l’industria siderurgica del Montenegro, che sta subendo un lento ed inesorabile declino, che si cerca di imputare a tutti i costi alla crisi globale del mercato automobilistico e quindi dei metalli. In realtà si tratta di una situazione ben più complessa, che vede l’intrecciarsi di una serie di eventi concomitanti, a partire dalla discutibile gestione da parte del Governo di Podgorica delle operazioni di privatizzazione, dei rapporti con le dirigenze delle società acquirenti e con le parti civili in causa, per poi finire con la cosiddetta "crisi globale". Questa sta danneggiando il comparto industriale non solo attraverso il calo della domanda aggregata di prodotti siderurgici, ma anche con la sottrazione di fondi e risorse finanziarie al processo produttivo per pagare, molto spesso, i debiti contratti con Banche e società di investimento. Il Montenegro, da questo punto di vista, rappresenta uno specchio di quelli che possono essere gli errori della finanza e delle privatizzazioni, in quanto la crisi delle sue industrie siderurgiche comincia proprio da una forte responsabilità del Governo e delle società che le hanno acquistate. Dunque, dopo aver esaminato il caso della fonderia Livina di Gatti spa e dell’acciaieria Zeljezara, entrambe dislocate nel complesso siderurgico di Niksic, esamineremo la situazione della Kombinat Aluminjiuma Podgorica (KAP), controllata dalla Central-European Aluminum Company (CEAC), detenuta dall’azionista di maggioranza russo Oleg Deripaska.

Il caso della KAP è molto complesso, in quanto la vera crisi comincia a manifestarsi mesi prima della cosiddetta crisi globale, quando la CEAC decide di querelare il Governo di Podgorica chiedendo un risarcimento danni per 300 milioni di euro dopo che un’esamina dei bilanci ha rivelato delle perdite inaspettate. I legali della CEAC accusano infatti il Montenegro di aver occultato dati importanti per stabilire il valore della Kombinat durante le negoziazioni per l'acquisto della fabbrica. I russi hanno così richiesto l’apertura di un arbitraggio internazionale a Francoforte, istituendo come controparti il Governo del Montenegro, il Fondo di Sviluppo, il Fondo di Assicurazione Pensionistica e l'Ufficio di Collocamento. Il Governo, da parte sua, si è difeso affermando che russi non hanno realmente rispettato il contratto di vendita per quanto riguarda gli investimenti pattuiti, e che per tale motivo non dovrebbe essere preso in considerazione parte dei debiti della Kombinat pari a circa 104.5 milioni di euro. Poco dopo arriva il primo annuncio di Deripaska della possibilità di chiudere la fabbrica di alluminio, nonostante l’approvazione dei lavori di ristrutturazione del valore di 30 milioni di euro nei prossimi due anni e di ulteriori 50 milioni come previsto dal contratto. I segnali di malessere continuano però ad aumentare e la sensazione di un peggioramento della situazione della KAP viene avvertito anche dagli operai, che minacciano continuamente scioperi dinanzi all’inerzia della dirigenza dinanzi alla necessità di contribuire realmente alla vita e al progresso dell’impresa. La società deve infatti affrontare una lunga protesta sindacale in seguito alla mancata liquidazione di circa 18 milioni di euro di stipendi arretrati e 4.5 milioni per dazi doganali.

Così nel mese di dicembre, la CEAC comunica che "ogni altra misura volta a sostenere la KAP come nuovi contributi per l'energia elettrica o altri privilegi, implica solo una conservazione artificiale della società, mentre i nuovi costi e le perdite ricadrebbero sempre sullo Stato", chiudendo qualsiasi prospettiva di sviluppo dello stabilimento. La dirigenza infatti avverte che vi è una situazione di disastro finanziario all’interno della società, che non verrà facilmente colmata con misure superficiali: da queste parole, sembra che la CEAC non è assolutamente intenzionata a tenere aperta la fabbrica di alluminio, giudicata ormai un pessimo investimento da liquidare nel più breve tempo possibile. Infatti, secondo alcune fonti riportate dal quotidiano di Podgorica Vjesti, il miliardario russo sta attualmente negoziando, con diversi investitori cinesi e americani, la vendita del pacchetto di minoranza delle sue società, tra cui anche il gigante dell'alluminio Russian Aluminum (RusAl) , nel tentativo di reperire i fondi necessari per pagare i debiti contratti verso le banche.
A nostro parere, qualcosa cambia ad un certo punto, perché la società lancia l'allarme sulla crisi di liquidità della compagnia, la quale potrebbe mettere a rischio la sopravvivenza della stessa. Dopo la crisi finanziaria strutturale, si parla di crisi di liquidità, per poi sfociare nella crisi globale.

Nel frattempo, infatti, le perturbazioni del mercato finanziario colpiscono senza pietà gran parte degli investimenti dell’oligarca russo Deripaska, che accumula in poche settimane un debito personale di 20 miliardi di dollari, per il quale ha chiesto un credito offrendo come garanzia la sua partecipazione nel gruppo assicurativo russo Ingosstrakh, controllato mediate il fondo Basic Element . Sembra che dopo la forte espansione del suo patrimonio - con investimenti nel comparto dell'energia, delle costruzioni e quello bancario-assicurativo - Deripaska deve progressivamente dismettere parte delle sue proprietà, a cominciare dal 20% di Magna (produttore canadese di componenti per auto), dal 9,99% del costruttore tedesco Hochtief, per poi perdere in borsa il 75% di Basic Element e rifinanziare il prestito ottenuto da un consorzio di banche estere con un finanziamento dello Stato russo per 4,5 miliardi di dollari; tale manovra gli costa cara perché la sua posizione nella Basic Element diventa sempre più precaria, sino all’avanzamento dei soci di minoranza. Dunque, il magnate russo - che comunque gode del sostegno diretto del Cremlino, e di numerosi gruppi bancari europei, come quello dei Rothschild - è stato costretto ad una serie di corsi e ricorsi di emergenza, per colmare un enorme debito, nato però da investimenti speculativi che hanno visto crescere il loro valore nel giro di pochi mesi.

A pagare la colpa del dissesto globale, è la stessa Kombinat aluminijuma di Podgorica, la quale si è vista costretta ad aprire un canale di negoziazioni con il Governo per ottenere degli aiuti di Stato, al fine di consentire almeno l'acquisto delle principali materie prime necessarie al ciclo produttivo e dell’energia elettrica. Il pacchetto di aiuti alla KAP ammonta a circa 50 milioni di euro, e riguarda agevolazioni fiscali, riduzione dei contributi, annullamento del debito per le forniture di energia elettrica e olio combustibile verso la EPCG e la riduzione di altri oneri. Il Governo, da parte sua, afferma che, affinchè siano erogati degli aiuti finanziari statali, occorre che i russi garantiscano per i dipendenti della fabbrica un' occupazione a lungo termine. In caso contrario non vi sarà nessun aiuto e la fabbrica andrà in liquidazione, per poi tornare nelle mani dello Stato. Podgorica aveva anche chiesto come condizione iniziale per esaminare tale richiesta, che l'azionista di maggioranza della CEAC, Oleg Deripaska, receda immediatamente dalla causa contro lo Stato, presso il Tribunale di arbitraggio di Francoforte. Al momento il ciclo produttivo rischia la paralizzazione, in quanto i lavoratori hanno minacciato di incrociare le braccia dopo che sono stati informati che la società non avrebbe pagato il salario del mese di dicembre, considerando che il conto della KPA presso la Banca Commerciale del Montenegro era stato improvvisamente bloccato. Inoltre, la produzione nella miniera di bauxite di Niksic - fermata per le festività natalizie il 17 dicembre - non ha ancora ripreso a funzionare, dopo che l'estrazione del minerale, che è destinata alla Kombinat Alluminjiuma Podgorica (KAP), è stata nuovamente rinviata per risparmiare sui costi della lavorazione, dato che la materia prima impiegata per la produzione di alluminio non è sufficiente.

Secondo gli ultimi aggiornamenti provenienti da Podgorica, il Governo ha annunciato che sarebbe disposto a lasciare la gestione della fabbrica di alluminio nelle mani dei russi, pena il fallimento della KAP stessa, e le gravi conseguenze sull 'economia del Paese, sui lavoratori, sull’intera filiera dell’alluminio e sul sistema bancario. Il governo, dunque, preferisce che la KAP continui ad operare nel gruppo CEAC, in quanto il fallimento non è assolutamente un’opzione da prendere in considerazione. Dinanzi alla minaccia dei russi di chiudere la fabbrica e di licenziare più di 4000 persone se non saranno devoluti gli aiuti di Stato, il Governo ha intavolato dei colloqui a cui stanno prendendo parte non solo i rappresentati del gruppo russo, ma anche il consorzio di banche che cooperano con la CEAC e i principali creditori. Delle trattative che hanno come posta in gioco la sopravvivenza di una comunità di lavoratori e di un ecosistema economico, e come contropartita un vero e proprio ricatto. Il Governo ha le sue grandi responsabilità, non può indietreggiare dinanzi a questa richiesta perché non può tradire il suo elettorato all’indomani delle prossime elezioni e della crisi che si sta abbattendo sul Parlamento. Allo stesso tempo, il Premier Djukanovic non può venir meno alla parola data ad Oleg Deripaska, il quale rappresenta anche un diretto partner di investimenti nel progetto turistico della costa di Budva. Infine, la questione della KAP va chiusa nel più breve tempo possibile, in quanto è un affare che pesa su entrambi le parti, sia per il modo in cui è stato ottenuto, sia per come è stato gestito.