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15 giugno 2009

Il vento di Dubai nei Balcani


Sembra che una certa finanza sta rialzando la testa per dare di nuovo vita alle speculazioni. D'altro canto, le manovre speculative non si sono mai fermate, e anche se i controlli ci sono stati, è stato lasciato comunque ampio spazio alle operazioni illegali. Anche il crollo del prezzo del petrolio e dei mercati immobiliari, hanno contribuito a creare nuovi tipi di circuito di investimento. I sultanati arabi, in cui non esistono controlli anti-riciclaggio, si stanno trasformando in centri raccolta di denaro sporco, proveniente da ogni parte del mondo.

L'eccessiva volatilità dei prezzi delle materie prime e del petrolio lancia l'allarme sul mercato finanziario sul ritorno della speculazione, temuta minaccia di quella ripresa economica tanto attesa. Che la speculazione "non si fosse mai fermata" era qualcosa che si poteva facilmente intuire anche dall'andamento "programmato" di questa crisi globale, che ha cambiato la conformazione azionaria della finanza in pochissimi anni.Al contrario, la crisi economica ha contribuito ad alimentare circuiti bancari illeciti, vista la mancanza di liquidità e capitale, tale che il cosiddetto mercato dei collaterali e dei bond ha continuato la sua corsa. Non a caso, solo la scorsa settimana sono stati sequestrati, alla stazione internazionale di Chiasso, al confine tra Svizzera e Italia, 249 bond della Federal Reserve statunitense, del valore nominale di 500 mln di dollari ciascuno, più 10 bond Kennedy da 1 mld di dollari ciascuno, per un totale di ben 134 mld di dollari, pari a oltre 96 mld di euro. Documenti che - come ben sappiamo - erano accompagnati da una documentazione bancaria in originale, come dichiarazioni notarili e ricevute di deposito, lasciando così intuire il loro possibile utilizzo, con l'accreditamento nelle Banche e il loro utilizzo per la capitalizzazione di società mediante fiduciarie. Le operazioni di trading, dunque, continuano nonostante gli allarmismi della crisi economica, e la stessa propaganda dei Governi del G8, volta a creare nuove basi per la finanza globale, è destinata a divenire la solita "minaccia inattuata". A conti fatti i controlli sono stati di massa, ma non calibrati su determinati settori, lasciando così ampio spazio a manovre speculative e illegali.

Lo stesso crollo del prezzo del petrolio e dei mercati immobiliari - entrambi effetti della crisi globale - in molti Stati, come gli Emirati Arabi, hanno dato vita a nuovi tipi di circuito di investimento. Di fatti, con il prezzo del petrolio basso e con il sistema immobiliare saltato, il nuovo business delle banche e dei sultanati arabi, è la raccolta di denaro sporco - derivante da traffico di eroina, pirateria internazionale, contrabbando e criminalità - proveniente da ogni parte del mondo. Tra l'altro, con i presidi dei paradisi fiscali occidentali, il sistema bancario dei mercati d'Oriente diventa sempre più attrattivo, essendo libero da controlli antiriciclaggio, in virtù dell'esistenza di "regole religiose" che proibiscono la speculazione. Così, grandi quantitativi di contante, imballato in grandi sacchi (come fossero merce) vengono caricati su un aereo che viaggia con timbri diplomatici con destinazione Dubai o altra sede. Il denaro viene poi consegnato presso una security più vicina al luogo dove viene custodito il denaro cash; qui viene controllato e conteggiato, per poi essere accreditato dal nuovo proprietario presso la principale banca di Dubai. I proprietari dei "fondi cash" diventeranno titolari del denaro versato sui conti correnti, per poi essere invitati in un secondo momento ad investire gli stessi soldi in attività commerciali che vengono proposte direttamente dalle banche arabe. In questa maniera, tutti i soldi sporchi vengono inseriti nei circuiti ufficiali di banche internazionali arabe e vengono poi reinvestiti in attività regolari.

Non a caso, la recente crisi ha portato sin nel cuore dell'Europa, grandi quantità dei fondi provenienti dai sultanati arabi, destinati ad essere investiti in progetti infrastrutturali ed opere energetiche. Il "vento di Dubai", così come di Doha, si è sentito arrivare soprattutto nella regione balcanica, ed in particolare in Bosnia, grazie ai forti rapporti politici tra la Federazione della BiH (entità bosniaca) e gli investitori arabi, così come in Montenegro, in qualità di nuovo partner strategico di banche locali e delle privatizzazioni degli assets dello Stato. Non bisogna dimenticare la Croazia, destinataria di fondi di investimento per la costruzione del terminal di gas e dei depositi di gas naturale liquefatto, come la stessa Albania, che saluta i ricchi investimenti per un terminal e un impianto di rigassificazione. Tutti progetti strettamente connessi alla possibilità di fare dei Balcani una piattaforma strategica all'interno del Mediterraneo per le materie prime degli Stati arabi, ma anche un mercato di destinazione di investimenti garantiti poi dagli stessi Governi locali, vista la grande necessità di nuove opere infrastrutturali per garantire uno sviluppo a tale regione. In tale ottica, si può anche intuire quale può essere il futuro di uno Stato come il Montenegro, nato da un'operazione di "speculazione e riciclaggio" per essere poi destinato ad essere il Lussemburgo dell'Europa dell'Est.