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16 settembre 2009

I Balcani ai margini della Conferenza di Davos Est


La conferenza “Davos Est”, tenutasi a Krynica (Polonia) nei giorni scorsi, ha esaminato le possibili strategie a cui ricorrere per sostenere l'ampliamento dell'Unione Europea e garantirne la sostenibilità economica. Nonostante i Balcani non facciano parte dello scenario "comunitario" che ha fatto da cornice alla conferenza, sono stati comunque presenti, con le loro problematiche e le loro peculiarità che li rendono sempre più vicini a Russia e Cina.

Simbolicamente denominata “il fronte dell’Est”, la conferenza “Davos Est”, tenutasi a Krynica (Polonia), ha raggiunto un importante compromesso tra i Paesi aderenti alla riunione. Se gli Stati limitrofi dei confini comunitari vogliono vedere un sensibile avanzamento nei loro processi di integrazione, e così un allargamento dell’EU, si devono aiutare l’uno con l’altro per entrare, o almeno per avvicinarsi quanto più possibile all’UE. Il futuro dei Paesi europei sarà dunque quello di avere sempre dei buoni rapporti con i loro vicini. Tra l'altro, nel primo semestre di quest’anno, la produzione dell’area europea orientale si è sviluppata ad un ritmo più sostenuto rispetto all` anno scorso. Polonia e Repubblica Ceca hanno raggiunto una crescita del PIL del 5% o 6% , nettamente superiore alla crescita media del blocco occidentale pari all’1,5%. Un divario interessante, soprattutto se si guarda all’idea di scavalcare l'antica divisione tra la Vecchia e la Nuova Europa, ossia i cosiddetti Paesi della transizione. Tuttavia, lo sguardo dell’osservatore lungimirante va anche oltre i confini tracciati da Bruxelles, e si estende ancora più ad est. “I nuovi membri dell’UE dipendono dalle riforme di Ucraina, Bielorussia e Russia”, come ha osservato il Presidente lituano Valdus Adamkus. I produttori polacchi sono infatti interessati alla ricerche di mercato dell’economie dell'Est pagando i team di ricercatori ucraini, russi, kazaki, mentre hanno investito sui mercati esteri più di 400 milioni di dollari, raddoppiando i limiti raggiunti nel 2003. Proprio per questa espansione essi si trovano ai primi posti della lista delle maggiori aziende produttrici in Europa centro-orientale. Tra le 150 aziende più grandi, 55 sono polacche, 40 russe, 19 ungheresi e 8 ceche.

Inoltre, non va sottovalutato il ruolo di alcuni "potenziali nuovi membri" come i Balcani che, nonostante i loro rapporti con l'emisfero orientale, godono di una rappresentanza politica minima. Dei 1500 funzionari governativi, economisti, produttori e analisti di tutta Europa, USA e Asia riuniti a Krinjica, non era presente neanche un rappresentante ufficiale della Serbia, se non si considera l’ex segretario nel Ministero di Kosovo e Metohija, Dusan Prorokovic, il quale ha partecipato non in veste ufficiale. La situazione dei Balcani è stato tema di discussione di un solo panello, tra le centinaia di temi di questa conferenza. Nella tre-giorni sono state scambiate intensivamente svariate opinioni, soprattutto inerenti alla crisi economica, ai rapporti con la Russia, alle possibilità di esplorazione di nuovi giacimenti di gas. Tuttavia, il pannello dedicato al “Puzzle balcanico: stima di un equilibrio”, stando a quanto dichiarato dai presenti, era forse il più interessante della conferenza. Nello spiegare il motivo per cui la Slovacchia non ha riconosciuto il Kosovo, il Segretario di Stato presso il Ministero degli Esteri, Olga Algajerova, ha dichiarato che Bratislava ritiene che l’indipendenza del Kosovo non è conforme alla legge internazionale. “La Cecoslovacchia si è frantumata con accordo, ma un’indipendenza riconosciuta solo da una parte, potrà provocare anche gli altri precedenti simili nel mondo”, ha dichiarato Algajerova, sottolineando che “i confini non possono essere cambiati senza un accordo di tutte le parti, e prendendo il considerazione solo le ragioni di una di esse”. Intervenendo alla discussione organizzata con il progetto “Compromesso kosovaro”, il Segretario slovacco ha affermato che il Governo ha subito forti pressioni per riconoscere il Kosovo dopo il 17 febbraio, mentre le richieste sono sempre meno pressanti. “Noi supportiamo lo sviluppo economico di questa provincia serba, e non lo riconosceremo mai come uno Stato indipendente”, afferma perentoria Alargajerova, sottolineando che la Serbia ha avuto uno dei più elevati finanziamenti dal Fondo di Sviluppo della Slovacchia.

A tal proposito, Dusan Prorokovic, ha dichiarato che il Kosovo non può funzionare normalmente fino a quando non sarà riconosciuto dalla Serbia stessa, probabilità più assurda che remota. Precisando che la sua non è un’opinione istituzionale, e tutt’al più politica, Prorokovic ritiene che vi sarà la possibilità di aprire un tavolo di negoziati, per un nuovo modello geopolitico della regione, proprio perchè in Kosovo non sono stati risolti molti problemi, che la stessa Unione Europea non è riuscita ad eliminare. Tranne questa breve parentesi, alla conferenza di Davos Est non si è parlato tanto dei Balcani, quanto piuttosto delle prospettive di sviluppo e crescita economica. “La Serbia è uno dei pochi Paesi che, insieme con Russia, Brasile e Sud Africa, ha sottoscritto un accordo di partenariato strategico con la Cina. Simili accordi potrebbero essere presto firmati anche da altri paesi balcanici, per esempio la BiH con qualche paese islamico, il Montenegro con Russia, e la Macedonia con la Turchia”, ha ipotizzato Prorokovic. A tal proposito, Erhard Busek, Presidente del Forum Albah ed ex coordinatore del Patto per la stabilità dell’Europa Sud Orientale, ha partecipato alla discussione esponendo la sua posizione come moderatore. “L’ultimo paese europeo che ha firmato un accordo con la Cina è stata l’Albania negli anni 60, quando si sono interrotti i legami con la Russia”, osserva Busek, lasciando chiaramente intendere che l’UE non accetta di buon grado alcun tipo di accordo di cooperazione economica e strategica tra i paesi Balcanici e le grandi forze dell’Est. Si parla dunque di volontà politica per lo sviluppo dei Paesi che non sono ancora entrati nell’UE, ma nessuno in Europa è pronto a dare man forte per un vero slancio della produzione di questi Paesi, essendo ben consapevoli della loro propria debolezza.