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16 marzo 2012

Amicizia italo-serba: tra triangolazioni e delirio mediatico


La crisi economica e la migrazione degli stabilimenti dei grandi marchi 'multinazionali' del Made in Italy ha fatto scoprire ai media italiani la Serbia e le terre d'oltremare dei Balcani. Si parla di Eldorado dell'Est, di patria degli incentivi pubblici per gli investimenti esteri, di manodopera a basso costo, cavalcando così sulla cresta dell'onda la propaganda costruita da Belgrado, con il sostegno di Banca Mondiale e BERS. L'interessante reportage di Repubblica è sin troppo miope e fuorviante, perché, nel tentativo di denunciare l'esodo delle imprese italiane, lancia il terribile messaggio che "investire in Serbia è un vero affare", meglio di Cina e India, mercato del grande business di banche e zone franche.

Un'Italia all'estero che non c'è
Conferenzieri della 'new economy', associazioni di imprenditori, nonché esperti dell'Istituto del Commercio Estero – ovvero ciò che ne resta – si sono tutti attivati per riempire sale e forum di imprenditori disposti ad investire. Oggi sono divenuti consulenti dell’internazionalizzazione di impresa, nonostante in questi anni non siano riusciti a costruire una rete logistica italiana. Si è dovuta scomodare la FIAT per risuscitare l'amicizia italo-serba, e dimenticare in una stretta di mano i bombardamenti e i crimini dei 'serbi macellai'. Prima della ricucitura della partnership storica tra il Lingotto e la Zastava, la presenza italiana in Serbia era solo un business di 'makarona' o 'zabar', come spesso vengono definiti gli italiani da romeni e slavi. Un dramma questo derivante anche dal fatto che il cosiddetto Made in Italy non esiste, visto che le grandi istituzione italiane all'estero sono più impegnate a fare gli intellettuali a 20 mila euro al mese che costruire qualcosa nell'interesse del Paese, restando così servi delle Banche. Cercheremo quindi di fare le dovute precisazioni per evitare che il pubblico e le imprese italiane vengano disinformate dai servizi giornalistici del Gruppo De Benedetti.

La falsa internazionalizzazione e l'inganno degli incentivi
In primo luogo, va osservato che la migrazione delle imprese in Serbia rientra nel periodico ciclo di delocalizzazione che segue un trend mondiale di espansione o retrocessione dell'economia. Prima vi sono state quelle della Romania e della Polonia, tanto che questa della Serbia viene anche definita migrazione di ritorno, dopo il fallimento di parte degli investimenti sui mercati dell’est, alla caccia di nuovi incentivi offerti dagli Stati in transizione. Gli esempi della selvaggia internazionalizzazione avvenuta per esempio sul mercato romeno dimostrano che la politica degli incentivi è una misura di breve termine, che distrugge il mercato se non è accompagnata da una logistica strutturata, da rapporti consolidati e da un valore aggiunto dei prodotti venduti.
In secondo luogo bisogna distinguere i casi di internazionalizzazione di giganti come la Fiat e Benetton, che hanno un apparato strutturato e contatti diretti con i Governi, dalla situazione in cui si trovano le piccole e medie imprese, che non hanno le risorse per potersi difendere dalle difficoltà e dal rischio di un'economia instabile. Lo sbaglio più grande è poi illudersi di potersi affidare alle Camere di commercio italiane, all'ICE o agli addetti delle ambasciate, che hanno già dato prova di non essere in grado di proteggere gli investimenti italiani all'estero, come è avvenuto e avviene tutt'oggi in Croazia, in Albania o in Montenegro. Non dimentichiamo, a tal proposito, il caso della Dalmatinka dei F.lli Ladini che, nonostante la Croazia fosse già nella fase di stabilizzazione e adesione europea, ha commesso un plateale abuso violando le leggi europee e la convenzione italo-croata. Allora, le autorità italiane non riuscirono ad imporre il rispetto della legge, facendo degenerare la situazione sino al fallimento e alla ritorsione dei lavoratori. Purtroppo, il caso de La Distributrice non può essere considerato 'isolato', perché nei Balcani sono centinaia i casi di imprese saccheggiate ed occupate, una volta finiti gli incentivi e gli investimenti agevolati. Gli arbitrati internazionali e la Corte Europea, come strumenti estremi di riparazione, sono tra l'altro accessibili solo a società strutturate finanziariamente, tale che alle altre piccole imprese non resta che lasciare tutto quello che hanno costruito. Per cui, quando un bel giorno finiranno gli incentivi, allora i sindacati cominceranno l'opera, con i tribunali, l'attivissima politica dei bassi fondi e il saccheggio delle aziende. In questo frangente così delicato l'ICE sparirà, l'ambasciata consegnerà una lista di avvocati o invierà qualche timida lettera nella quale scrivono sempre la solita frase: "Qui siamo ospiti, noi non possiamo fare molto".

Stato sociale critico
Purtroppo il giorno del crack arriva sempre, perché questi Paesi non conoscono ancora una stabilizzazione, e l'integrazione europea richiederà molti anni e soprattutto sacrifici immani, a cominciare dal taglio agli aiuti alle imprese private. Incentivi significano, per i Governi locali, ulteriori debiti, che ad un certo punto vengono bloccati dal Fondo Monetario Internazionale: a fronte di nuovi crediti, chiederà riduzioni di costi, tale che il sostegno ad investitori esteri potrebbe divenire una moneta di scambio, un'arma, una leva di potere, in mano a chi decreta i Paesi che vincono e quelli che perdono. Gli stessi vantaggi dei bassi salari, sono un costo che la Serbia oggi è disposta a pagare, ma che un domani dovrà recuperare, se non vuole scatenare la frustrazione e il rancore di un popolo che aspira a divenire europeo.

Il business del mercato russo
Un monito questo che vale anche per i vantaggi alla riesportazione e allo sfruttamento dell'Accordo di libero scambio con la Russia. In primo luogo, la Serbia oggi usa quell'accordo per esportare soprattutto prodotti alimentari, mentre dal punto di vista industriale non sembra abbia avuto molti successi, in quanto la burocrazia dei Paesi degli Stati Indipendenti è complessa e diametralmente opposta. In ogni caso per beneficiare di quell’accordo occorre vendere prodotto “made in Serbia”. D'altro canto, anche in questo caso si tratta di un vantaggio di breve termine, in quanto già vi sono segnali da Mosca e da Bruxelles, che l’Unione Doganale Russia-Bielorussia-Kazakhstan potrebbe essere in conflitto con il mercato unico europeo. Integrazione della Serbia significa anche “rinuncia agli stretti rapporti con la Russia”, come ha anche ricordato lo stesso Cremlino. Quando il 'Cattivo' Putin deciderà di sollevare delle frontiere commerciali e decidere chi è dentro e chi è fuori, vedremo se l'UE si esporrà per difendere le imprese italiane che hanno investito in questo business. 

Triangolazioni bancarie e speculazioni
Per quanto riguarda infine in grandi investimenti nel settore finanziario e assicurativo delle Banche italiane, occorre precisare che parte del loro business deriva dalla distribuzione dei fondi per la ricostruzione e i prestiti strutturali di BERS, BEI, Banca Mondiale e BIRS. L’altra quota confluisce spesso in attività speculative. Ovviamente non parliamo di 'lavatrici' o di triangolazioni San Marino-Cipro-Belgrado, anche perché non vorremmo che un giorno qualcuno a Bruxelles decida di fare degli accertamenti. Il caso Hypo Bank è esemplare, ma ricordiamo bene che l'Italia non è l'Austria e chissà se riuscirebbe a far fronte alla situazione e a sedare gli scandali di corruzione. Non dimentichiamo poi gli affari della green-energy sponsorizzati da Fondi di investimento lussemburghesi, con contratti miliardari per le imprese lombarde, per realizzare impianti fotovoltaici tra i più grandi del mondo .

Piano industriale superficiale
Va evidenziato che, tutto ciò che l’Italia ha in mano è un piano industriale che ha come scopo quello di esportare in Vojvodina semi-lavorati da etichettare 'Made in Serbia' e vendere in Russia. Insomma, le solite strategie superficiali basate sulla bontà delle autorità russe e sull'amicizia e la simpatia con Belgrado. D'altro canto c'è l'investimento della FIAT che sembra abbia intenzione di ricominciare i 'vecchi business con la Zastava', con la produzione e l'esportazione di auto ed 'altro'. Un grande piano già stabilito da tempo, in cui la funzione dei piccoli imprenditori è quella di fare numero e riempire le sale e le conferenze, organizzate dalla defunta ICE e dalle camere di commercio. Falsi consulenti si nascondono dietro gli incentivi e mercati dai profitti inesistenti, alte parcelle per i business plan e progetti da presentare per gli incentivi.

Delirio mediatico
E' così in atto la cannibalizzazione dei soldi pubblici, tutti attori di uno spettacolo, idee,strette di mano, sorrisi, pacche sulle spalle: benvenuti nel Paese delle meraviglie, la Repubblica di Sorgenia. Ci chiediamo, quindi, dove sia lo Stato e il Governo della Sobrietà, il cui obbligo è garantire uno sviluppo ed un'integrazione sostenibile dei mercati. Tante promesse sono state fatte, per esempio, dal Ministro Terzi , sulle nuove regole per la trasparenza, delle quali non abbiamo ancora avuto un riscontro. Infatti, quando l'Osservatorio  ha chiesto ancora una volta al Ministero degli Esteri e alla Cooperazione Italiana di consultare i tabulati di spesa di alcuni progetti, nessuno sembrava essere a conoscenza delle parole del Ministro. Tra l'altro, le ONG e le Associazioni assunte sono sempre solidali tra loro, protette dalla schiera di media amici e le cosiddette agenzie di stampa sponsorizzate, pronti a pubblicare articoli autocelebrativi . Il delirio raggiunto è a tal punto che "se si vedesse Guliano Ferrara nudo a Belgrado, vi sarebbe senz'altro un opinionista dei Balcani che lo definirebbe 'arte moderna del Made in Italy".