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16 febbraio 2015

ISIS e dintorni: prove tecniche per l'invasione e la divisione della Libia

Roma - La pubblicazione dell’ennesimo filmato dal montaggio cinematografico dell’ISIS fa scattare la trappola dell’intervento militare estero in Libia, ponendo così le basi per la divisione e la spartizione del suo territorio tra i gruppi di interesse da tempo schierati. L’esercito di Al-Sisi, dietro il sostegno di Emirati Arabi e Russia, è pronto ad invadere il confine occidentale, mentre le basi aeree egiziane nella notte hanno bombardato presunti punti logistici dell'ISIS, appena poche ore dopo l'annuncio dell’allarme generale per mettere in assetto da attacco gli Apache e gli F16 per un immediato attacco della Libia. L'annuncio del Presidente egiziano parlavano di possibile attacco una volta avuto il via libera dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, come riserva di prendere contromisure di offensiva per vendicare la strage dei 21 cittadini egiziani copti sequestrati. Nei fatti l'Egitto ha anticipato ogni mossa, in quanto nella notte sono iniziate le manovre di rullaggio dei caccia, cominciando a bombardare la zona costiera di Derna, non molto lontano dal confine occidentale con la Libia.


Potrebbe essere questo il risultato di un patto scellerato raggiunto a Minsk con la Russia, che lascia a Mosca la possibilità di fare da regista della ‘balcanizzazione’ dell’Ucraina, a fronte della disponibilità di Putin a non ostacolare una possibile risoluzione dell’ONU per la Libia. In tal caso, la cosiddetta “coalizione anti-ISIS” avrebbe il via libera ad intervenire e spartirsi le risorse libiche, oltre che a riattivare i canali di traffico di armi per alimentare i conflitti perenni del Medio Oriente. Quanto sta accadendo all’Ucraina non è molto distante dal patto di non-aggressione di Hitler e Stalin, con la ripartizione della Polonia, la cui attualità ritorna oggi per salvare le commesse di Mistral e Alstom, come anche i contratti energetici e industriali delle aziende tedesche, forse anche il South Stream. Questo la dice lunga sul motivo per cui François Hollande e Angela Merkel si siano arrogati il diritto di trattare con Mosca a nome dell’Europa, senza nessun mandato formale da parte chi “non aveva più alcuna credibilità” dinanzi alla controparte. La stessa potenza sta ora chiedendo all’Italia di trattare sulla Libia, nel tentativo di creare un fronte comune sull’intervento militare di “terzi paesi” sotto l’egida dell’ONU. A questo punto, non è molto difficile capire che a tenere le fila di queste trattative sommerse siano proprio gli Stati Uniti, che stanno inducendo i Paesi europei ad esporsi in prima persona per stabilizzare quei conflitti scatenati e fomentati da lobbies senza Stato-nazione. A tale scopo, Washington ha simulato delle minacce trasversali, esasperate sino all’inverosimile, che stanno creando lo spettro del terrorismo nel cuore dell’Europa, spingendo la guerriglia sino ai suoi confini più prossimi del Mediterraneo e dei Paesi Baltici. L’obiettivo di fondo è proprio quello di far credere ai governi europei che l’UE dovrà rimanere una costola della NATO, seguendo le sue leggi economiche e militari, impendendo così nei fatti la creazione di un terzo blocco politico che possa trattare con Russia e Cina. Ed infatti ha indotto gli Stati del Baltico a credere che saranno invasi dall’esercito russo, pronto a sfondare tutti i suoi confini per riaffermare l’Unione Sovietica.


Allo stesso modo, sono state azionate delle forze per sbloccare lo stallo nel mondo arabo, creando una macchina di propaganda terroristica senza confini, capace di “comparire” ovunque puntando una bandiera, e di colpire qualsiasi obiettivo con efferatezza e freddezza. La stessa mossa egiziana, emulando perfettamente la Giordania – che ha sferrato dei bombardamenti unilaterali per vendicare l’uccisione del suo pilota – fornisce qualche indizio in più sulla natura di un’organizzazione terroristica sorta dal fallimento di Al-Qaeda contro Assad, che conta tra le sua fila personaggi che hanno avuto contatti con funzionari americani, e che non scopre il viso dei suoi militari. E’ anche strano che la loro tecnica di propaganda audio-visiva sia eccezionalmente migliorata, passando da una semplice telecamera ad un montaggio post-produzione, con tanto di regia e fotografia, testi e sceneggiatura. La propaganda che va ad alimentare, fa dell’ISIS un’organizzazione controversa, con logistica e tecnica militare, ma con manodopera di basso profilo. Sono infatti ben poche le fonti che hanno intravisto sui campi di scontri quei miliziani così fieri che compaiono nei video diramati in rete, perché in prima linea vi sono i soliti mercenari-schiavi assoldati o sequestrati. Eppure i media occidentali, nonostante non abbiano uomini sul campo, sono i più informati, anzi fin troppo bene informati, riuscendo così a seguire, se non anticipare le prossime mosse dei terroristi.

Ed è proprio l’ISIS a fare la differenza in Libia, perché senza di esso la situazione resterebbe di scontro perenne tra le guerriglie e le polizie private, con due Governi e due Parlamenti (Tobruk e Tripoli), un esercito riconosciuto affiancato da una formazione paramilitare supportata da Emirati e Occidente (ndr. Khalifa Haftar) che si oppone al movimento sovversivo di Fajr Libia che gode del sostegno del Qatar, oltre agli eserciti rimasti fedeli a Gheddafi (come quello di Zintan) che continuano una propria guerra, per riacquisire una posizione. E’ questo lo spaventoso spettro della grande “opera diplomatica” della deposizione del Colonnello, gettando il caos nella regione per consentire ad altri ampio spazio di manovra per i propri traffici: armi, mercenari, petrolio, e droga,e quant’altro ha da offrire il mercato libico. Lo scenario è ancor più complesso, considerando che Al-Sisi si sta preparando ad attaccare “formalmente” la Libia, mentre continua quello silenzioso e invisibile, in atto da mesi a sostegno dell’esercito di Haftar e di recente in maniera più intensa lungo i confini. Armato “sino ai denti” grazie a contratti bellici miliardari “piovuti” dalle mani di Francia e Russia, Al-Sisi potrebbe non fermarsi dinanzi a questo bluff dell’ISIS, e quindi andare fino in fondo “per conto di terzi”. Quello stesso esercito che non ha esitato a far fuoco sulla folla per fermare la Fratellanza musulmana, ha deciso di accorrere in “vendetta” dei copti, nonostante l’Egitto li abbia sempre perseguitati e sterminati. E’ evidente che è tutta una grande farsa quella di Al-Sisi in difesa della cristianità minacciata dallo Stato Islamico. L’intervento egiziano, con o senza il benestare dell’ONU, innescherà dei meccanismi di reazione dalle conseguenze imprevedibili, ma comunque sotto gli schemi di una guerra non convenzionale.


Lo stesso monito d’allarme giunge in queste ore dalla Tela di corrispondenti a Tripoli, circa la pericolosa escalation posta in essere da molteplici forze schierate, pronte a dividere la Libia in tre parti parti, che fanno riferimento a Tripoli, Bengasi e Murzuk, ciascuna dietro il sostegno di distinte lobbies. Come anticipato dall’Osservatorio Italiano, all’immediato scoppio dei primi scontri a Tripoli, “l’obiettivo della Francia e dell'Inghilterra era sin dall'inizio quello di dare un nuovo Stato alla Total e alla BP, e per far questo hanno incendiato tutto il Nord Africa. Il problema è che, una volta innescato, questo meccanismo infernale non si fermerà, e nuove rivolte si preparano in Siria, ma se si arriva alla Giordania non si torna più indietro. D'altro canto, occorre tenersi pronto al contraccolpo, che si traduce nella reazione dei Governi aggrediti con il terrorismo. Sono molte le reti create dalle intelligence occidentali nei Paesi difficili da stabilizzare e da controllare, e una volta che vengono spezzate e 'abbandonate' diventano armi micidiali e imprevedibili". All'indomani dell'incursione franco-britannica, l'Osservatorio Italiano avvertiva sulle pericolose derive della destituzione di Gheddafi (si veda La Repubblica Cirenaica, il nuovo Stato di Total e BP), considerando "l’attacco aereo solo la prima fase della totale destabilizzazione del regime di potere in Libia, che è stato infatti trasformato in terreno da sciacallaggio per le milizie armate, al soldo di società private. Nel tentativo di prevaricare l'una sull'altra e prendere il controllo delle riserve petrolifere, delle infrastrutture energetiche e logistiche, in questi anni di transizione si sono dilaniate a vicenda, foraggiate da molteplici fronti, come Qatar, Emirati Arabi, Arabia Saudita, ma anche dai cartelli petroliferi e delle armi. La Libia non è più uno Stato, bensì una terra di nessuno da conquistare. E' ovvio che questa nuova guerra può essere un passo falso per l'alleanza franco-britannica, perchè questa politica della Regionalizzazione - una sorta di evoluzione della balcanizzazione che porta alla scomparsa degli Stati Nazione - può essere un'arma a doppio taglio, portando la guerra sino in Europa. Infatti non esistono solo Palestina, Cisgiordania, Kurdistan, Sangiaccato, ma anche Corsica, Scozia, Paesi Baschi, Fiandre. All'Italia ora non resta che tamponare una crisi che è solo agli inizi". scriveva ancora l'Osservatorio, citando proprie fonti presenti sul territorio libico.


Dinanzi a questo scenario, il gioco-forza del Governo italiano è sin troppo azzardato, evidentemente spinto a trattare nel Nord Africa al posto degli Stati Uniti, considerando che la diplomazia americana ha perso del tutto la propria credibilità in questa regione. L’Italia, infatti, non è in grado di gestire un conflitto nel cuore del Mediterraneo e nelle immediate prossimità delle sue coste, come se fosse il conflitto nei Balcani. La sua diretta esposizione serve oggi a coprire chi sta già tramando per subentrare ad essa, e si avvicinano sempre più come belve affamate. Oltre all’Egitto, non dimentichiamo che la Francia ha già mosso le sue navi per manovre tecniche nel Mediterraneo mentre da mesi reclama il “diritto” a guidare una missione anti-terrorismo nelle metodologie dell’attacco in Mali. Una prerogativa solo “temporaneamente” fermata dagli eventi di Charlie Hebdo, ma le minacce alla raffineria Total potrebbero essere sufficienti ad inviare un contingente. In realtà, il territorio libico è stato già infiltrato da forze esterne e contractor, che stanno giocando un ruolo sporco nella formazione di forze di sicurezza private e auto-investite di autorità. Difficilmente l’Italia riuscirà a conservare le proprie posizioni e a prevenire gli attacchi fratricidi dei propri alleati. Nella sua posizione dovrebbe arretrare e limare le proprie dichiarazioni, in quanto vengono strumentalizzate e mal interpretate dai media arabi, che stanno gradualmente innescando una campagna mediatica di sciacallaggio contro l'Italia, come se fosse l'artefice di un disegno politico di "dominio nel Mediterraneo". Del resto, in Paesi così tormentati non si può usare la teoria della democrazia e neanche si può pretendere di riuscire a mantenere uno stato di guerra per altri due anni, il tempo di creare un porto franco attraverso il quale riuscire ad armare l’Africa e l’Ucraina.