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06 febbraio 2015

L’onda anomala del Balkanistan

Banja Luka - Dopo un periodo di silenzio, è stata riattivata la macchina della disinformazione che sta smistando tra i media locali controverse analisi e pareri sui possibili scenari connessi alla diffusione del radicalismo islamico nei Balcani. Quella che un tempo veniva chiamata Trasversale verde - che storicamente collegava la Croazia sud-occidentale, la Bosnia e tramite il Sangiaccato, il Kosovo e l’Albania, sino alla Tracia orientale e alla Turchia - viene oggi definita Balkanistan, da intendersi come regione dei Balcani come parte del Califfato islamico. A questo proposito, in una rocambolesca coincidenza, sono comparse delle bandiere dell’ISIS su una casa del villaggio di Gornja Maoca - nota sede di una piccola comunità di wahhabiti, ben conosciuta dai servizi di intelligence locali. Tuttavia la notizia è giunta nella redazione di Reuters e Daily Mail prima ancora che nell’Agenzia di Investigazione (SIPA). Gli agenti non hanno fatto in tempo a raggiungere la casa abbandonata su cui erano state esposte le quattro bandiere, che il tabloid britannico  aveva già pubblicato le foto, per cui alle forze dell'ordine non è rimasto che constatare la rimozione delle stesse, mentre i presunti combattenti si sono prestati ad interviste e reportage dei giornalisti accorsi.

A questo punto, da oggi in poi, non possiamo che aspettarci una valanga di teorie, ipotesi e sospetti sulla presenza dell’ISIS in Bosnia, il tutto per creare sempre maggiore confusione e depistaggi, in un terreno fertile per questo tipo di propaganda, ma allo stesso tempo fragile e ferito. Le sfumature delle teorie propagandate sembrano cambiare, con toni più aggressivi e violenti, ma la corrente di fondo rimane immutata, perché i portavoce della propaganda del terrore, che si avvicendano da oltre vent’anni, sono sempre gli stessi. Nel grande coro dei passacarte si sono distinti Tanja Topic, analista di Banjaluka, Vlatko Cvrtila, esperto di geopolitica di Zagabria, Marko Attila Hoare, storico presso la Kingston University, nonché Tihomir Loza, giornalista croato che vive a Londra esperto su Paesi in transizione, Danko Plevnik giornalista croato, oppure Zarko Petrovic, direttore del Centro Internazionale per la sicurezza – ISAC foundation. A questi si uniscono talvolta Dzevad Galijasevic, come anche Darko Trifunovic, affiancato dall’analista Milan Mijalkovski, che insegna presso la Facoltà della sicurezza di Belgrado, mentre Domagoj Margetic ha lasciato l’Islam per fare la guerra alla corruzione.

E' comunque difficile stilare l’intera lista degli analisti "occasionalmente volontari" per associazioni e organizzazioni createsi negli ultimi vent’anni nei Balcani. Molte di esse sono sparite così come sono nate, tante ne esistono ancora, ma sono sempre più numerose le nuove entità venutesi a creare, spesso parte della medesima rete, che gode del supporto delle ambasciate degli Stati occidentali, delle Fondazioni bancarie ed in particolare della Open Society. Il loro campo di azione spazia dalla lotta per la trasparenza e la corruzione, alla criminalità organizzata e traffici, per ritornare solo di recente ai labirinti delle analisi sul terrorismo nei Balcani. Un gran “pour parler” costruito sul nulla, che vede protagonisti analisti da bar formulare le teorie più assurde, prive di qualsiasi fondamento o ricerca strutturata, bensì frutto della lettura di qualche sito internet. Il crimine peggiore è l’accredito fornito dai media internazionali, che forniscono così la matrice per cominciare con la propaganda. Un gioco questo ormai usurato dal tempo, con tecniche obsolete e talmente collaudate, che tali personaggi credono davvero si passare inosservati.

Da parte nostra, riteniamo che non vi sia alcun presupposto per intraprendere un discorso serio sul terrorismo islamico nei Balcani, in quanto il mantenimento di uno stato di confusione conviene sia alla Comunità Internazionale che ai governi locali. Il caos della Bosnia serve un po’ a tutti, soprattutto quando si è a corto di argomentazioni. Per cui serve dire che i kalashikov utilizzati negli attentati sono bosniaci, come bosniaco è il canale di reclutamento. Sebbene non condividiamo certe tesi, preferiremmo che, al posto di Balkanistan, si definisca Trasversale verde o meglio Occasionalmente terroristi, tanto per dare l’idea di chi abbiamo di fronte. Ed infatti, creare delle onde anomale di disinformazione sul fondamentalismo islamico nei Balcani è molto pericoloso, non per questi Paesi – che in fondo conoscono bene le dinamiche di cui parliamo – bensì per le ricadute su terzi o in patria. Basta ricordare gli errori di valutazione dei grandi strateghi che hanno voluto portare la guerra in Ucraina nella convinzione che la Russia non avrebbe reagito, o che volevano abbattere la Siria con la propaganda spicciola delle primavere arabe. I Balcani, in questo, sono molto più folli ed imprevedibili, e creare in questi Paesi una minaccia - sebbene virtuale - rischia di innalzare una fiamma di ritorno ancora più insidiosa. In attivo c'è già il fallimento del tentativo di sovversione con le proteste di Sarajevo, dello scorso febbraio, quando un gruppo di ONG ha assembrato un branco di hooligans nella speranza di portare al collasso le istituzioni. Adesso la strategia è cambiata, si ritorna nella 'trasversale verde' con il Balkanistan, tirando fuori delle bandiere e sperando nel colpo di fortuna. Che dire: una grande creatività....