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30 aprile 2016

Manifestazioni in Libia:quando l'informazione segue il trend politico

Lo schieramento diplomatico dell’Italia in Libia comincia a divenire il bersaglio mobile di una strategia di disinformazione, volta a sferrare un attacco mediatico nei confronti dell’Italia. L’obiettivo di tale strategia è quello di creare un sentimento anti-italiano tra la popolazione libica, infondendo diffidenza nell’opera di assistenza e di consulenza della diplomazia italiana al fianco del Governo di riconciliazione. Sono attualmente in gioco delle forze molto forti,  provenienti dai nostri diretti competitor e dalle potenze arabe che stanno coltivando grandi interessi in Libia, e cercheranno di sfaldare il processo di pace che intende riunire il popolo libico.

Si può infatti osservare una escalation nella progressione della pubblicazione delle notizie, su media e social network, che potrebbe sfociare in un evento di maggiori dimensioni mediatiche, approfittando della pausa festiva del 1° Maggio, quando media italiani e libici sono in pausa e hanno una capacità di reazione più lenta. Come spesso accade in queste dinamiche di disinformazione, le notizie spacciate provengono da fonti anonime – spesso utenti sentitici neo-creati che appaiono sui social network – non contengono elementi precisi che permettono di verificare l’informazione, o di collocarla nel tempo e nello spazio.

E’ di oggi, infatti, la notizia pubblicata dal portale israeliano Debka-file circa l’attentato di Daesh ad un convoglio di forze speciali italiane partite da Misurata e diretto verso Sirte. Citando fonti anonime dei servizi di sicurezza, Debka afferma che un convoglio costituito da forze speciali italiane, britanniche e truppe libiche, era in viaggio dalla città nord-occidentale di Misurata verso Sirte, quando è caduto in un'imboscata  di Daesh subendo gravi perdite. La fonte afferma con certezza che vi sarebbero delle vittime italiane, mentre non precisa alcun dettaglio sul luogo in cui sarebbe avvenuto l'attentato.

Di lì a poche ore,  sono comparse sui social network foto di bandiere italiane che vengono bruciate da manifestanti (presumibilmente in Libia), commentate con molteplici messaggi anti-italiani, per ricordare la vittoria dei ribelli libici a Gasr Bu Hadi, il cui anniversario  cade appunto il 29 aprile.   E’ interessante notare che la  stessa dinamica dell’attentato di Daesh spacciato da Debka-file sembra rimarcare proprio la storia della battaglia di Gasr Bu Hadi, avvenuta appunto sul territorio tra Misurata e Sirte.

A differenza delle consuete manifestazioni che si sono susseguite in questi anni per la ricorrenza di tale anniversario, la protesta di quest’anno è stata appositamente organizzata dalla corrente politica pro-Haftar   - e quindi dai gruppi di potere esteri che giocano di sponda -  portando delle bandiere italiane, per far credere all’opinione pubblica occidentale che esiste un sentimento diffuso anti-italiano tra la popolazione libica.   In realtà, i libici hanno  manifestato anche in passato bruciando quelle bandiere, perché erano il simbolo della colonizzazione, e non perché vi è un sentimento anti-italiano largamente condiviso. Al contrario,  le correnti pro-Haftar hanno voluto bypassare tale ricorrenza come manifestazione di protesta “all’intervento militare italiano in Libia”.

E’ possibile quindi tracciare uno scenario, in cui varie dinamiche cominciano a confluire tra loro, per raggiungere un unico obiettivo, ossia quello di tagliare l’Italia fuori dalla scena diplomatica, a favore di Francia e Gran Bretagna, che pretendono oggi di “riappropriarsi” della gloria di liberatori della Libia dal regime, e quindi di vantare pretese sullo sfruttamento esclusivo delle risorse energetiche libiche.

In primo luogo,   il Generale Haftar vuole far credere al popolo libico che solo sotto  il suo comando la Libia sarà libera da ingerenze straniere, nascoste  dietro il Governo di riconciliazione nazionale.  In secondo luogo, Francia, Gran Bretagna ma anche Egitto ed Emirati Arabi, stanno fomentando il Generale Haftar, dissuadendolo dell’idea che “la liberazione di Sirte scongiurerà l’intervento internazionale, e farà di lui l’unico ed indiscusso liberatore della Libia”. A tale scopo, utilizzano la retorica della “colonizzazione italiana” come forte immagine comunicativa del sentimento di ribellione del popolo libico, anche perché la carta del “Tiranno Gheddafi” è stata da tempo bruciata ed inflazionata dal fallimento della rivoluzione e dallo scoppio della guerra civile.

Ci chiediamo quindi come mai l’analista dell’International Crisis Group (ICG) Claudia Gazzini ha pubblicato due giorni fa la foto di una bandiera italiana  dicendo che era stata bruciata in una manifestazione di protesta del 25 aprile, e poi oggi rinegozia la sua posizione, affermando che era stata bruciata durante una “manifestazione di test e di preparazione per l’evento del 29 aprile”.  Forse l’ICG conosceva in anticipo cosa sarebbe accaduto nella protesta di questo venerdì, che sarebbero state bruciate delle bandiere, e che sarebbe stato per manifestare contro l’intervento militare italiano? Tutto sembra portare ad un’unica pista, ossia che questa protesta è stata opportunamente organizzata per inviare un duplice messaggio mediatico: all’opinione pubblica internazionale sulla diffusione di un sentimento anti-italiano, e all’opinione libica, su doversi affidare ad Haftar per evitare il bombardamento della NATO.  Il tutto dovrà essere amplificato dai media, per ingigantire il fenomeno e creare un trend, quello appunto del malumore del popolo libico contro l’Italia.  D’altro canto, fallito il primo tentativo di impressionare i libici e la stampa italiana, la notizia viene rilanciata proprio questo venerdì con nuove bandiere, aspettando che i media italiani rilancino la notizia per fare ancora più clamore.

Subentra così il ruolo della macchina mediatica che, opportunamente calibrata, riesce a sferrare attacchi con enormi danni collaterali, anche perché i giornalisti e i media italiani sono stati più volte beffati da false notizie non verificate. Basti ricordare la notizia trasmessa dai telegiornali nazionali sul presunto omicidio di un trafficante di esseri umani a Zuwarah da parte di forze speciali italiane; oppure la notizia sull’attacco mai avvenuto al compound della Mellitah Oil&Gas; o ancora della sfilata di una colonna di 30 veicoli di Daesh sulle strade di Sabratha, anche questa non avvenuta; sino all’ultimo caso del falso annuncio della fuga del Primo Ministro del Governo di Tripoli, tempestivamente smentita.  E’ chiaro che la tecnica comincia ad usurarsi e diviene sempre meno credibile, come assolutamente non-credibili sono i registi di questa messa in scena, la cui opera di finzione era fallita già ai tempi di Bernard Levy.   

29 aprile 2016

Bandiera italiana bruciata in Libia: quelle notizie anonime che diventano realtà

E' un twitter dell'analista dell'International Crisis Group (ICG), Claudia Gazzini, a sollevare un polverone mediatico sul presunto incendio di una bandiera italiana durante una manifestazione a Bengasi, per protestare contro la dichiarazione del Ministro della Difesa Pinotti a sostegno del nuovo governo di riconciliazione nazionale (si veda tweet). La notizia ha fatto rapidamente il giro dei media italiani, che hanno ripreso la notizia per dare inizio ad una serie di speculazioni non verificate, cadendo così  in maniera inconsapevole nella macchina della propaganda. La  notizia si è subito rivelata falsa ed inattendibile,  provenendo da una fonte anonima, a sua volta amplificata da un’organizzazione che ha un discutibile reputazione in termini di affidabilità delle informazioni spacciate. Basti ricordare la causa per calunnia e diffamazione sollevata contro l'International Crisis Group ai danni Filip Zepter, condannata dalla Corte d'Appello americana, per il rapporto pubblicato nel 2003 che collegava l’imprenditore serbo all'ex Presidente serbo Slobodan Milosevic ( si veda Sentenza United States Court of Appeals District of Columbia Circuit No. 06-7.095 ).  

Contattata da un utente twitter, l’analista ha affermato da aver ricevuto la foto da terzi, che hanno attribuito l’immagine ad una “manifestazione a piazza Al-Qish di Bengasi avvenuta  due giorni fa” (quindi il 25 aprile). Tuttavia, non esiste nessuna traccia su una presunta manifestazione a Bengasi nel corso della quale sarebbe stata bruciata la bandiera. Le ultime manifestazioni in Piazza Al-Qish sono avvenute intorno al 22 aprile, per manifestare contro la dichiarazione di fiducia al Governo di riconciliazione da parte di un gruppo di parlamentari astenuti.  Inoltre, la foto non contiene alcun elemento visivo che consenta di collocarla nel tempo o nello spazio, come ad esempio il viso dei manifestanti. Dinanzi alla replica dell'utente, che ha subito messo in dubbio la veridicità della foto, l'analista ha rilanciato con un altro twitter contenente una parziale smentita, e che al momento non può né confermare né negare .

Sembra quindi evidente il tentativo dell'ICG di inquinare il clima mediatico, e scagliare l'opinione pubblica libica contro l'Italia, che ha scelto di schierarsi al fianco della missione delle Nazioni Unite nella finalizzazione del processo di stabilizzazione della Libia, con l'insediamento di un Governo di unità nazionale. Nel far questo, ha espresso il suo sostegno alle nuove forze emergenti, chiedendo che le milizie e i poteri militari appartenenti alla fase di transizione vengano riconvertite in un esercito regolare. Una posizione questa non condivisa da altri Paesi europei, come la Francia, che si è affiancata al Presidenza egiziano Al-Sisi nel sostenere sulla scena internazionale l'opera del Generale Haftar. Un timido tentativo questo di riparare al caos scatenato con i bombardamenti della Libia, sferrati solo a seguito di una campagna di falsità e di manipolazioni in violazione di una risoluzione ONU. 

In questo clima, in cui la diplomazia sta giocando un ruolo molto delicato e difficile,  i media sono costantemente bombardati da speculazioni e false notizie diramate attraverso i social network da fonti anonime, nel tentativo di inquinare il panorama informativo. Sono in gioco società di comunicazione la cui funzione è proprio quella di spacciare notizie false, utilizzando analisti e centri studio, che media e giornali accettano come vere o plausibili, assecondando una vera e propria macchina della disinformazione. La stampa italiana, da oltre un anno,  si è fatta ripetutamente beffare sulla questione della Libia, pubblicando notizie false che sono puntualmente smentibili, perché prive di contenuto e di evidenze sostanziali.  

18 aprile 2016

Fermato dirigente italiano A2A: EPCG come KAP?


Giunge del tutto inaspettata la notizia dell'arresto dell'ex direttore finanziario dell'Elektroprivreda Crne Gore (EPCG), Flavio Bianco, nell'ambito dell'inchiesta della Procura speciale sui contratti di consulenza sottoscritti a favore dell'A2A senza rispettare le procedure di tender. Tra gli indagati figurano anche Enrico Malerba, ex direttore esecutivo dell'EPCG, e Massimo Sali, ex direttore finanziario, entrambi recatisi in Italia. Interrogato lo scorso venerdì 15 aprile, Flavio Bianco è stato posto in custodia cautelare per 72 ore dopo l'interrogatorio, misura poi prorogata per altri 30 giorni, per evitare l'inquinamento di prove e che possa lasciare il Paese. Bianco aveva rassegnato le sue dimissioni dalla dirigenza dell'EPCG appena pochi giorni prima, precisamente l'11 aprile, per andare a ricoprire un altro incarico presso la municipalizzata di Milano.



Va detto che le dinamiche dell'arresto, come dell'intera inchiesta, non sono del tutto chiare, e sembrano rimarcare le stesse procedure che hanno portato al fermo dell'ex direttore finanziario della KAP, Dmitrij Potrubach, condotto fuori dal suo ufficio in manetta, sotto gli obiettivi di media e giornali. Oggi il dirigente della Central European Aluminium. Company (CEAC) ha avviato una causa contro la Repubblica del Montenegro per il procedimento illegittimo e infondato perpetrato nei suoi confronti, a seguito dell'espropriazione di KAP. Potrubach chiede un risarcimento di circa 5 milioni di euro, per i danni in termini di mancati guadagni e di pregiudizio della sua immagine.

Questa causa è l'ulteriore dimostrazione dell’assenza dello stato di diritto in un Paese candidato all’adesione nell'UE e nella NATO, nonché l'ennesimo caso controverso di fallimento di investimenti esteri, che si traducono nel drammatico epilogo di arresti e arbitrati. Il Montenegro si conferma essere uno Stato inadeguato ad accogliere progetti di cooperazione e di investimento, e per quanto continui ad attirare nuovi capitali, accumula sempre nuovi processi giudiziari, nella maggior parte dei casi ai danni degli investitori. Di contro, per quanto riguarda il particolare caso della A2A, tale arresto costituisce un atto molto grave, che apre una faglia incolmabile nei rapporti di cooperazione energetica tra le due società e i due Stati, con un inevitabile impatto alla stessa solidità del accordo di investimento e di gestione della EPCG. Identici interrogativi possono essere sollevati in relazione al progetto del cavo di interconnessione della Terna Tivat-Pescara, che insiste in un'area marittima contesa tra la Croazia e il Montenegro, ossia la penisola di Prevlaka, e per il quale non vi è ancora alcuna prospettiva di risoluzione.

http://osservatorioitaliano.org/read.php?id=147491